Testimonianze dalla cooperativa

"Suona il citofono dell’appartamento, il cancello si apre, niente risposte bizzarre e allegre che ti fanno sorridere ancor prima di entrare.
Salgo le scale e se per caso incontro un vicino, noto che lui scappa per la paura di avvicinarsi. Entro in casa, il soggiorno è vuoto e silenzioso, niente grida di accoglienza, nessuna risata e rumore gioioso.
Tutto tace, alcune delle ragazze sono a casa dei genitori e chi rimane è in camera in quarantena, ognuno in una stanza. Guardo il tavolo, quella tavola solitamente sempre circondata di persone, dove ogni sera ci si raduna per cenare e chiacchierare, scherzare e raccontarsi.
Oggi sulla tavola ci sono solo medicine, mascherine, guanti….
I ragazzi mangiano nelle loro stanze, io mangio alla scrivania, il silenzio che irrompe in queste giornate è assordante, si sentono solo le sirene in superstrada e io cerco di interromperlo con una chiamata, la musica, un film, qualsiasi cosa pur di distrarmi e far distrarre da questo silenzio che ricorda quello che sta accadendo.

Non posso farmi abbattere da ciò che succede fuori, devo tenere alta la speranza per me e per le persone che abitano la casa che, guardandomi ogni giorno, cercano di cogliere se sia opportuno cedere ad un sorriso o rigirarsi nel letto a riposare in silenzio, nell'attesa di giorni migliori.
Mi sono trovata a pensare a quanto questa situazione mi costringa ad essere quello che da educatrice risuona come assurdo, incoerente e contraddittorio.

Oggi sono chiamata a non relazionarmi con gli altri, ad interagire con i ragazzi solo per le necessità primarie, a parlare il meno possibile con le persone che accudisco, a stare lontana, a non toccare, a non abbracciare nemmeno nei momenti di sconforto, a non poter asciugare le lacrime.
Sono chiamata a chiudere la porta di casa per non far entrare nessuno e far sì che nessuno esca.
In casa tra una stanza e l’altra, chiudo le porte, ognuno nella sua parte di casa, con i suoi pensieri, con le sue paure ed emozioni. Ditemi se questo non vi sembra il contrario di quello che è il nostro lavoro da sempre…
Noi, abituati ad aprirci agli altri, alla vicinanza, alla relazione, al costruire legami e a circondarci di persone.

Mi sono chiesta cosa ci sia di educativo oggi nel mio lavoro.
Ho trovato la risposta nel riconoscere, nel mio quotidiano, quello che in fondo sta alla base del nostro lavoro: la cura e il benessere delle persone. Oggi mi sembra un lavoro apparentemente povero, privo di progettualità elaborate. Invece è un lavoro di cura che si basa sull'essenzialità di piccole cose e che trova la vicinanza alle persone nelle azioni e nei gesti quotidiani: il preparare una cena accurata, far leva sugli interessi per portare un po’ di svago, fare una sorpresa inaspettata o una videochiamata che faccia sorridere ed ironizzare quando entro nella stanza vestita come se partissi per una missione spaziale. Tutto per cercare di strappare un sorriso.

In una parola esserci, oggi come prima per camminare a fianco alle persone in questo pezzetto di vita, anche se particolare e drammatico. Esserci, nonostante la paura per loro, per me e per le persone che mi aspettano a casa."

Annalisa Zanini, educatrice del Progetto “La Città Leggera”, appartamenti per persone con disabilità.